Sound Art and Music

Cos’è la Sound Art?

Una definizione controversa

Più che un movimento o genere artistico con Sound art o arte sonora si intende quella varietà di espressioni e forme artistiche che hanno al centro del loro interesse il suono e l’ascolto. Si tratta di un fenomeno artistico complesso, ramificato e senza confini definiti, la cui straordinaria vitalità risiede nel continuo sconfinamento tra i due mondi dell’arte visiva e della pratica musicale. Utilizzato per la prima volta nel 1983 in occasione della mostra Sound/Art allo Sculpture Center di New York, S. a. è un termine ancora oggi controverso. Per il teorico inglese Christopher Cox è «impossibile da definire univocamente» (Introduzione ad Audio culture. Readings in modern music, 2004); per altri ancora è «ambiguo» (C. Kelly, Introduzione a Sound. Documents of contemporary art, 2011) perché comprende sia opere d’arte situate in gallerie e musei sia pratiche musicali contemporanee: performance, sculture e installazioni, interventi di arte pubblica, video e film d’artista, ma anche tutte le forme performative dell’arte e della musica elettronica. Proprio per la molteplicità e trasversalità delle forme ed espressioni artistiche che abbraccia, la definizione estetica della S. a. in quanto disciplina artistica autonoma – e non soltanto come forma di integrazione tra le diverse arti – è ancora oggi al centro di un dibattito che da oltre due decenni divide artisti, musicisti e teorici dei sound studies. Per S. a. oggi si intendono principalmente quelle forme di arte che, in contrapposizione alla pratica musicale che si occupa dell’organizzazione dei suoni nel tempo, sono interessate alla percezione spaziale connaturata al suono, attente alla sua materialità e alla sua ‘proiezione’ nello spazio.

Le origini

Le radici della S. a. vanno ricercate in quell’humus sperimentale che caratterizza le ricerche estetiche, musicali e artistiche degli anni Sessanta e Settanta. Tuttavia, l’inizio del processo di emancipazione del suono dalla musica tradizionale va rintracciato nella visionarietà futurista degli inizi del Novecento. Nel 1913 il pittore e musicista Luigi Russolo scrisse il manifesto L’arte dei rumori dove teorizzò il «suono-rumore» come «naturale evoluzione della musica parallela al moltiplicarsi delle macchine» dell’insorgente modernità. La geniale intuizione di Russolo dell’apertura della musica al rumore come suono del mondo è ripresa in tutta la sua portata rivoluzionaria solo negli anni Cinquanta, quando la comparsa di nuovi strumenti elettronici, come il sintetizzatore e il registratore con nastro magnetico, rese possibile quell’indagine sul suono in quanto materia sonora che lo avrebbe emancipato dalla funzione rappresentativa e mimetica della musica tradizionale.

L’età dei media elettronici

La sperimentazione sul suono ebbe un’evoluzione su due fronti paralleli: da un lato nell’ambito dell’accademia, sviluppando una ricerca musicale che rimase all’interno della musica contemporanea ‘colta’, dall’altro invece ai suoi margini, da cui si diramarono negli anni successivi le multiple varianti della Sound art. Questa sperimentazione eterodossa, che ebbe luogo simultaneamente su entrambi i lati dell’Atlantico, si articolò in due diverse scuole di pensiero e di approccio all’evento sonoro, entrambe estremamente feconde per le ricerche future. Nel 1948 a Parigi, l’ingegnere radiofonico Pierre Schaeffer compose Cinq études de bruits, composizioni musicali ottenute tramite la manipolazione e la stratificazione di registrazioni di rumori preesistenti. Questa prassi compositiva attorno all’objet sonore avviò la scuola francese di musique concréte e introdusse l’idea dell’ascolto ‘acusmatico’, un ascolto concentrato sul suono puro diviso dalla fonte che lo genera.

Nello stesso anno negli Stati Uniti, il compositore e artista John Cage formulò l’idea di comporre un pezzo di silenzio ininterrotto. Idea che avrebbe realizzato quattro anni dopo, nel 1952, con 4′33″, sonata silenziosa in tre movimenti – 30″, 2′23″, 1′40″ – scanditi dall’apertura e chiusura del coperchio sulla tastiera del pianoforte. Con questo gesto radicale Cage dischiuse il mondo della musica ai suoni del mondo. Il silenzio funzionava come cassa di risonanza dei rumori, in questo caso i brusii e mormorii del pubblico, per una composizione musicale che non può che seguire i principi del caso e dell’indeterminazione. L’attenzione si rivolgeva all’ascolto come esperienza attiva e partecipativa che coinvolgeva creativamente l’ascoltatore. Al suono ‘costruito’ della scuola francese Cage contrappose, sulla scia del ready-made duchampiano, il suono ‘trovato’ che ben si sposava con le aspirazioni di osmosi arte-vita dell’arte degli anni Sessanta.

In quel momento la ricerca sul suono si allontanò dall’eredità della musica sperimentale per intrecciarsi con le pratiche artistiche post Cage. Per la sua natura ‘intermedia’ il suono sembrò incarnare meglio di altri materiali quella sensibilità dell’arte contemporanea che procedeva per «traiettorie tra linguaggi, media, luoghi e storie» (Anthony Huberman, in Audio files. Sound art now: an online symposium, 2004), piuttosto che per categorie ancora definite dalla purezza del mezzo espressivo. Inoltre, l’uscita dal white cube tradizionale e la ‘dematerializzazione’ dell’oggetto-arte perseguita dall’arte minimal e concettuale legittimarono appieno l’entrata della dimensione sonora, ontologicamente immateriale, nel contesto delle arti visive.

Agli inizi degli anni Sessanta i Fluxus events nacquero come concerti-performance ‘intermedia’ che coinvolgevano artisti visivi, musicisti e poeti, uniti nella ricerca di nuovi formati espressivi al fine di portare l’arte nella ‘strada’, nel flusso della vita. Contemporaneamente, le potenzialità percettive e spaziali dei fenomeni acustici vennero indagate sia nel mondo della sperimentazione musicale sia in quello dell’arte visiva, producendo le prime opere emblematiche di Sound art. Dream house (1963), il primo ambiente sonoro immersivo dei musicisti La Monte Young e Marian Zazeela; I’m sitting in a room (1969), la performance sulla riverberazione del suono, del compositore Alvin Lucier; la Box with the sound of its own making (1961), la scultura sonora dell’artista minimale Robert Morris; Get out of mymind, get out of this room (1968) la traccia di sola voce di Bruce Nauman (v.); l’intervento di alterazione acustico-spaziale al La Jolla Museum of art (1969) di San Diego dell’artista concettuale Michael Asher; la performance Seedbed (1972) del poeta e performer Vito Acconci; le performance pubbliche di ispirazione Fluxus di Laurie Anderson. Tutte opere leggendarie che documentano la vitalità e l’effervescenza della nascente arte del suono, caratterizzata dalla natura immateriale e site-specific al tempo stesso del suono, l’‘ambiguità produttiva’ di cui parla il teorico Brandon LaBelle che muove la ricerca fuori dai contesti convenzionali dell’ascolto. Nel 1966 il percussionista Max Neuhaus, considerato il fondatore della S. a., con la performance Listen portò il pubblico alla scoperta del paesaggio acustico di New York. Il passo successivo di Neuhaus fu quello di infiltrare il suono in luoghi pubblici: nel 1977, mentre il musicista e compositore Brian Eno pubblicava Music for aiports creando l’ambient music, musica pensata per accompagnare spazi piuttosto che immagini, Max Neuhaus realizzò Times Square la prima installazione sonora permanente nello spazio pubblico. Convinto che «la nostra percezione di spazio dipende tanto da ciò che vediamo come da ciò che ascoltiamo», Neuhaus usò il suono in maniera spaziale e architettonica. Times Square fu il primo di una lunga serie di place works: lavori sonori «rimossi dal tempo e stanziati, invece, nello spazio» (www.max-neuhaus.info), che occupano lo spazio del quotidiano per stimolare tramite l’ascolto una sua diversa percezione. Più in generale l’ascolto dei suoni dell’ambiente circostante stimolò lavori che riflettevano su temi ecologici e ambientali, come l’ambizioso progetto di mappatura sonica The world soundscape project, intrapreso tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta dal compositore e ambientalista canadese Raymond Murray Schafer. La formulazione del soundscape (paesaggio sonoro), una composizione elettroacustica ottenuta tramite la combinazioni di ‘impronte sonore’ di un’area, naturale o urbana, per crearne il suo ritratto sonoro, diventerà un’inesauribile fonte d’ispirazione per i sound artists dell’era digitale.

Gli sviluppi della sound art

A partire dagli anni Ottanta le contaminazioni tra i due linguaggi dell’arte contemporanea e del suono avvennero soprattutto nell’ambito della cultura pop, grazie sia a un proficuo scambio di collaborazioni tra artisti e musicisti, sia al doppio ruolo che acquistò il sound artist: Christian Marclay sviluppò nelle performance del suo ‘teatro di suono trovato’ una forma ibrida dove il suono viene anche usato in base alle sue potenzialità visuali, mentre Kim Gordon, chitarrista della band Sonic Youth, con la sua formazione artistica portò il discorso dell’arte nell’estetica del gruppo. Si moltiplicarono inoltre le installazioni tecnologiche di suono, luce e spazio, come nei lavori di Achim Wollscheid che sin dai primi anni Ottanta indagò, tramite la tecnologia interattiva, le possibilità del suono come mezzo di interazione sociale. Sono questi anche gli anni della nascita di etichette discografiche indipendenti create da e per sound artists che collegavano non solo i mondi del suono e della visione, ma anche l’arte colta con quella più underground: così la tedesca Selektion, cofondata dallo stesso Wollscheid nel 1980, e la neerlandese Staalplaat nel 1982. La label francese Metamkine creò nel 1987 la collezione Cinéma pour l’oreille dedicata alle «numerose estetiche che derivano dalla musique concrète» dove, accanto ad affermati compositori di musica concreta come Luc Ferrari e Michel Chion, pubblicarono anche i più giovani musicisti elettronici sperimentali come l’italiano Maurizio Martusciello e il francese Lionel Marchetti.

La rivoluzione digitale

Negli anni Novanta, l’avvento di Internet, laptop, mp3, e soprattutto dei campionatori digitali (sampler machine), economici e alla portata di tutti, avviò un processo di democratizzazione del suono assolutamente inedito e rivoluzionario. La possibilità offerta dai nuovi software di visualizzare l’onda sonora e di modificarla in tempo reale rivoluzionò il modo di pensare il suono. Si trattò di una vera e propria rivoluzione sonora che fece esplodere un’arte digitale dove suono e visione erano indivisibili. Il successo sorprendente di questa rivoluzionaria appropriazione del suono ‘dal basso’ si riscontrò nella nascita di festival di arte elettronica – Sónar (1994) a Barcellona, Transmediale (1998) a Berlino, Netmage (2000) a Bologna, Dissonanze (2000) a Roma, Mutek (2000) a Montréal – che istituirono un circuito internazionale per le arti elettroniche e digitali nelle sue molteplici forme.

All’interno di questa progressiva ‘sonorizzazione’ della cultura e più in generale della società, si inscrisse il considerevole aumento di interesse negli ultimi due decenni di un’arte contemporanea legata alla Sound art. Si moltiplicarono i testi accademici di sound studies e le grandi mostre internazionali: Sonambiente (Berlino, 1996), Sonic boom (Hayward Gallery, Londra, 2000), Sonic process (Centre Pompidou, Parigi, 2002), Sounding spaces (ICC, InterCommunication Center, Tōkyō, 2003), Tuned city (Berlino, 2008), Soundings. A contemporary score (MoMA, Museum of Modern Art, New York, 2013). Alla S. a. vennero riconosciuti i premi più prestigiosi del mondo dell’arte contemporanea: nel 2010 il Turner prize venne assegnato all’opera sonora Lowlands della scultrice scozzese Susan Philipsz; nel 2011 The Clock, lo straordinario collage visivo-sonoro di Christian Marclay, vinse il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. La rinnovata attenzione alle sperimentazioni sonore delle neo avanguardie e più in generale alle potenzialità insite nella sperimentazione sulla materia sonora aprirono a un’esplosione di lavori con il suono, sem pre più presente nelle pratiche dell’arte contemporanea. Sulla scia di Cage e Neuhaus il collettivo artistico Staalplaat Soundsystem realizzò dal 2000 installazioni pensate per ‘far suonare’ l’architettura e addirittura la città; nel 2003 Christina Kubisch intraprese il progetto delle Electrical walks costruite come visite guidate alla ricerca delle frequenze nascoste di un determinato luogo, mentre le Audio walks di Janet Cardiff sono invece costruite come narrazioni a più voci che coinvolgono i sensi dell’ascoltatore. Mentre l’elemento sonoro continuava ad attirare gli artisti ‘visivi’ nello spazio pubblico, gallerie e musei di arte contemporanea si aprirono ai sound artists digitali. Già nel 1997 Documenta si era aperta alle installazioni sonore di Carsten Nicolai e Michael von Haussworf e nel 2001 il padiglione austriaco della Biennale di Venezia presentò l’immersive work di suono e luce dei Granular Synthesis. Gli ambienti immersivi di forte impatto emotivo di Ryoji Ikeda o le installazioni sensoriali di Francisco López sono entrati appieno nel mondo istituzionale dell’arte ‘alta’. Nonostante la cifra comune a tutti questi lavori di arte sonora, nelle loro infinite possibilità di formalizzazione artistica, possa ritrovarsi nella percezione spaziale connaturata al suono, sarebbe tuttavia riduttivo limitare a questa proprietà la definizione di un’arte del suono. Sembra più corretto pensare alla S. A. come a un fenomeno artistico fluido e sempre in movimento dove percorsi imprevedibili si intrecciano tra loro come le trame di un arazzo con multiple varianti, la cui vitalità risiede proprio nella natura sfuggente, immateriale e trasversale del suono.

Fonte Treccani